Isola ecologica? Che definizione del "menga"... è il posto dove portiamo tutte le immondizie per differenziarle e questi la chiamano isola ecologica? Questi centri di raccolta fungono da catalizzatori di tutta l'immondizia e del marciume che abbiamo prodotto, consumato e sperperato per anni e decenni ed ora vogliamo espiare i nostri peccati, pensando che il nostro ritrovato sforzo sia armonioso con la natura e l'ambiente, da qui ecco quindi sorgere queste cattedrali ecologiche.
In verità dovrebbero raccontarci un po' più spesso cosa succede di tutto il materiale che portiamo presso questi punti di raccolta, tramite informazione televisiva, con documentari in cui si vede esattamente la fine che fa ogni singola cosa. E così smuoveremmo per l'ennesima volta i pensieri dei più scettici, che proprio non digeriscono la raccolta differenziata e pensano che tutto finisca sempre in discarica in maniera indiscriminata.
A "casa mia" l'isola ecologica dovrebbe essere tutto quello che circonda questi centri di raccolta differenziata, cioè tutto lo spazio circostante, tutto lo spazio dove viviamo. Lo spazio dove camminiamo, dove corriamo, dove pedaliamo, dove studiamo, dove lavoriamo, dove leggiamo, dove ci divertiamo.
Solo che anche qui ci vuole un bel coraggio a chiamare ecologico tutto lo spazio urbano e suburbano in cui siamo immersi, visto che tra cemento, asfalto e strade, ma soprattutto di smog, particolato e gente che ancora non vuole capire cosa sia veramente ecologico e cosa non lo è.
E' inutile che pensiamo di essere veramente "ecologici", se crediamo che basti possedere un SUV Euro 5 per andare a prendere i figli a scuola, che dista 500 metri da casa. E' troppo semplice prendere le banane biologiche e magari lasciare lì la verdura sgualcita nel frigorifero, quando invece ci si può fare un buonissimo minestrone. Troppo facile usare il cellulare, quando nell'altra stanza c'è il telefono collegato alla rete fissa, che produce molto meno inquinamento elettromagnetico.
E' tutta una farsa del linguaggio e dei nostri tempi: con le definizioni altisonanti ce la raccontiamo talmente bene, che siamo più bravi del governo e della politica a credere che stiamo facendo il meglio per noi stessi, per il nostri figli e per l'ambiente.
Riporto dal sito dell'onorevole Antonio Borghesi quello che non è passato al momento sui principali media, stando alle dichiarazioni scritte in alcuni messaggi che stanno girando in queste ore su Internet.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro dell'ordine del giorno Borghesi n. 9/Doc. VIII, n. 6/5, formulato dal Collegio dei questori.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, noi non possiamo ritirare quest'ordine del giorno, perché crediamo che su questo punto sia necessario intervenire.
L'abbiamo inserito nella contromanovra alla manovra economica del Governo, che è stata trasformata in un progetto di legge che qui non abbiamo potuto poi votare perché il Governo ha posto la questione di fiducia, ma riteniamo che questo sia un tema al quale i cittadini sono giustamente sensibili. Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa accettare l'idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant'anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio. È una distanza tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno - ce ne sono tre - e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese. C'è la vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità. Credo che questo sia un tema al quale bisogna porre rimedio e la nostra proposta, che stava in quel progetto di legge e che sta in questo ordine del giorno, è che si provveda alla soppressione degli assegni vitalizi, sia per i deputati in carica che per quelli cessati, chiedendo invece di versare i contributi che a noi sono stati trattenuti all'ente di previdenza, se il deputato svolgeva precedentemente un lavoro, oppure al fondo che l'INPS ha creato con gestione a tassazione separata. Ciò permetterebbe ad ognuno di cumulare quei versamenti con gli altri nell'arco della sua vita e, secondo i criteri normali di ogni cittadino e di ogni lavoratore, percepirebbe poi una pensione conseguente ai versamenti realizzati. Proprio la Corte costituzionale, con la sentenza richiamata dai colleghi questori, ha permesso invece di dire che non si tratta di una pensione, che non esistono dunque diritti quesiti e che, con una semplice delibera dell'Ufficio di Presidenza, si potrebbe procedere nel senso da noi prospettato, che consentirebbe di fare risparmiare al bilancio della Camera e anche a tutti i cittadini e ai contribuenti italiani circa 150 milioni di euro l'anno.
Per questo motivo, chiediamo che la Camera si esprima su questo punto e vogliamo davvero dire che non c'è nulla, ma proprio nulla, di demagogico in questa nostra proposta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Borghesi n. 9/Doc. VIII, n. 6/5, non accettato dal Collegio dei questori.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 525
Votanti 520
Astenuti 5
Maggioranza 261
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 498).
La Camera boccia la proposta idv di abolire il vitalizio per i deputati in carica e quelli cessati. Si potevano risparmiare 150 milioni di euro all'anno, ed eliminare un incomprensibile privilegio che allontana il Paese reale dalle istituzioni e la casta. L'intervento dell'onorevole Antonio Borghesi e il successivo voto della Camera.
Segui sul blog del Papataso il dramma del primo giorno di un'uggiosa settimana di un mese di m...a, ossia l'odissea per raggiungere il bagnasciuga di Povegliano a Mare.
Pare che stamattina un autoarticolato abbia fatto il numero dell'anno, cioè sia saltato da un cavalcavia della tangenziale direttamente in autostrada A4, altro che sassi dal cavalcavia! O forse non voleva pagare il pedaggio, una vessazione sempre più insopportabile dell'opulenta famiglia Benetton contro l'Italia che lavora?
Purtroppo e anche per fortuna, per il Papataso il dovere di cronaca fotografica, come solo lui sa fare. La cosa pare si sia protratta per un paio di orette. Tra un po' a freddo arriveranno probabilmente anche le meditazioni sulla congestione del traffico e su quanto poco ci voglia per mandare in crisi il sistema di mobilità provinciale e regionale...
Nei miei ultimi giretti in solitario ai centri commerciali e ai supermercati, e proprio nell'ultimo di ieri sera alla cassa mi sono imbattuto per l'ennesima volta nella lamentela dei clienti che mi precedevano. A parte la mia intrinseca xenofobia padanoveneta che cerco sempre di reprimere in qualche modo - erano di una nazionalità un po' distante dalla nostra - si lamentavano di queste pessime abitudini ed obblighi "italiani", cioè del fatto che i sacchetti di plastica non sono più di plastica, ma sono di mais e non vanno bene praticamente a nulla, se non per l'umido di casa e cercavano di capire se era ancora possibile avere i sacchetti di plastica, a cui evidentemente erano tanto affezionati, per le capacità di resistenza ed indistruttibilità nel metterci dentro la spesa.
In realtà il problema non era la loro capacità di resistenza, ma piuttosto quella che la gente li lascia in giro o li smaltisce non correttamente, perché li usava e li usa - si perché in giro ce ne sono ancora tanti e troppi che girano e che vengono rifilati ad altri negozi che non sono quelli commerciali. Purtroppo la gente li usa per metterci dentro il secco e pertanto non vengono ancora riciclati, ma finiscono probabilmente nell'inceneritore a produrre anidride carbonica o "livelli di diossina controllati".
E' tanto difficile presentarsi con la solita bustona rigida in iuta o equivalente, come fanno in tanti ormai da mesi, se non da anni?
Il problema dell'eliminare i sacchetti di plastica è però un problema a cui i nostri legislatori e tecnici hanno tamponato con una soluzione squisitamente all'italiana: cioè benda sugli occhi e via.
Alle casse ci siamo messi a distribuire i famigerati sacchetti di amido di mais, che si bucano solo a guardarli. Questo obbligo pare lo abbiano solo i supermercati e gli ipermercati, ossia i negozi che vendono generi alimentari. Tutti gli altri negozi, farmacie, negozi di elettrodomestici, elettronica, abbigliamento, mercerie pare non abbiano alcun obbligo, perché continuano a dispensare sacchetti di plastica "vecchio stile". Ora io non so se questi ultimi negozi siano esenti da tale obbligo o se stiano ancora smaltendo i sacchetti di plastica che hanno in casa, ma non mi pare una gran cosa.
Non solo: se questo obbligo i grandi negozi di alimentari ce lo hanno solo per i sacchetti che vengono distribuiti e venduti alle casse, pare che lo stesso obbligo non ci sia per tutti i sacchetti che possono essere presi all'interno del negozio, cioè principalmente quelli in cui collocare frutta e verdura. Quelli sono misteriosamente fuori dalla "competenza di cassa"... Ed il paradosso è che essi sono destinati a contenere quanto più riciclabile e biodegradabile ci sia tra i generi alimentari, cioè proprio la frutta e verdura!
Ci vedo bene solo la lobby dei produttori di questi sacchetti - che a mio modo di vedere sono gli stessi che producono ed hanno sempre prodotto gli altri di plastica - che hanno ben pensato di differenziare la loro offerta, rifilando sacchetti di amido di mais ad un prezzo esorbitante alle casse, tanto ora non ce la si può più cavare con uno o due sacchetti, ma probabilmente ne servono almeno quattro o cinque per farci stare dentro la stessa spesa.
Se fosse per me, io bandirei qualsiasi sacchetto alle casse: ve lo portate da casa e basta. Vi siete dimenticati quello di iuta a casa? Bene, ve ne vendiamo un altro a 5 Euro, così meditate bene prima di partire da casa.
Infine la chicca finale: chi mi dice cosa sta aspettando la Barilla e tutti gli altri produttori di biscotti e similari ad utilizzare imballaggi riciclabili? Guardate la foto: penso che la stessa domanda ve la poniate subito anche voi...
Poco più di tre anni fa mi ero registrato al servizio youandagip.it con login e password, servizio che era direttamente collegato alla tessera di fidelizzazione che si può utilizzare presso le stazioni di servizio del grande gruppo petrolifero italiano. All'epoca la login consisteva nell'e-mail utilizzato per la registrazione.
Ho ricevuto ieri l'invito ad aggiornare i miei dati sul sito youandeni.com, che presuppongo sia la continuazione logica del 'vecchio' youandagip.it, visto che il gruppo è passato da Agip ad Eni.
Anzitutto c'è da dire che youandeni.com non è così scontato che sia la naturale continuazione di youandagip.it.
Poi se si entra nel sito youandagip.it, c'è un avviso di sospensione temporanea del servizio per aggiornamento dati. Solo che tale sospensione temporanea è ferma da almeno 4 mesi, se non di più, visto che si parla di un generico 19 marzo e 23 marzo, ma non si sa di quale anno, visto che io non ho seguito in prima persona le vicende delle transizione.
Infine se utilizzo le mie credenziali inserite all'epoca (login basata su e-mail e password) nel nuovo sito di youandeni.com, non c'è verso di collegarsi, così come non funziona nemmeno l'invio automatico di una nuova password all'indirizzo di posta elettronica esistente nei loro archivi.
Però youandeni.com possiede regolarmente il mio indirizzo e-mail e continua ad inviarmi comunicazioni di aggiornamento dati, a mo' di spam.
Mi pare insomma che ci sia un po' di confusione...
Siccome ogni anno si sente la stessa tiritera al riguardo del Canone RAI, ho fatto la cosa che riesce semplice a tanti, cioè cercare in rete su cosa succede negli altri stati europei.
Tante lamentele nascono dal fatto che tantissima gente lo ritiene una tassa illegittima, vuoi perché è collegata direttamente alla proprietà di un televisore - trattasi pertanto di una tassa patrimoniale a tutti gli effetti - vuoi perché le reti televisive RAI non sono regolarmente emesse sull'intero territorio nazionale - infatti da quando si è passati al digitale terrestre (DVB-T) in tante regioni, tanti utenti sono stati costretti a passare alle piattaforme satellitari Sky o a Tivusat per continuare a vedere la tivù, a causa di un segnale digitale troppo debole per garantire una qualità minima - vuoi anche perché tantissima gente è assolutamente insoddisfatta del servizio pubblico politicizzato, che tra l'altro è pure finanziato in maniera importante dalla pubblicità.
Non è comunque mia intenzione dirimere la faccenda, ossia se sia giusto o meno pagare il canone TV. Ho già espresso la mia idea sulle tasse in più occasioni con amici, parenti e colleghi di lavoro: ogni tassa patrimoniale, a mio modo di vedere, è ingiusta, così come lo è anche il canone RAI in quanto "tassa di proprietà".
Il 90% delle famiglie italiane lo paga, un buon 10% no, ma questo è un'altra storia. Io ho cercato in rete cosa succede nel resto dell'Europa.
Certo è che la natura del titolo che ho dato a questo articolo è chiaramente provocatoria. Potremmo girare la frittata, ponendo piuttosto la questione non del fatto che il canone TV sia giusto o meno pagarlo, ma "è giusto pagare più di 100 Euro per il servizio della tv pubblica italiana, vista la spartizione politica"?
Sulla rete ho trovato questo articolo di Boris Bivona, che trovate integralmente a questo URL sul sito Fisco Oggi.
Il pagamento di una tassa per la detenzione di apparati atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo, è statuito dall'articolo 1 del regio decreto n. 246 del 21 febbraio 1938 e confermato da alcune sentenze della Corte costituzionale. La ragione per cui l'Italia, al pari di molti altri paesi europei, ha adottato il sistema dell'esperienza televisiva intesa come servizio pubblico culturale e pedagogico, quindi soggetto a tassazione, deve rinvenirsi nel momento storico postbellico in cui la tivù di stato diventa il simbolo della rinascita e dell'unificazione sociale.
Il ministero dell'Economia e delle Finanze, per il tramite del dipartimento del Tesoro, partecipa per la quota del 99,56 per cento sulla RAI Radio Televisione Italiana Spa, mentre il restante 0,44 per cento è di proprietà della Siae (dati relativi al 2008-2009).
I giudici di legittimità, con riferimento alla natura giuridica del "balzello" televisivo, hanno avuto modo di fornire chiarimenti al riguardo in diverse occasioni. La sua istituzione deve rinvenirsi non tanto nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che lega il contribuente, da un lato, e l'Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico, dall'altro, ma nel fatto che si tratta di una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio. La sua riscossione è affidata allo Sportello abbonamenti TV, gestito in concessione dalla RAI per conto del ministero dell'Economia e Finanze.
Sorprendentemente, la tassa pagata in Italia risulta essere, in confronto tra i Paesi dell'Europa occidentale, la più bassa. Secondo i dati forniti (nel 2006) dall'Osservatorio europeo dell'audiovisivo, l'importo medio a livello comunitario proveniente dal canone televisivo dovrebbe attestarsi a 118 euro per famiglia nel 2009. Al riguardo, occorre, tuttavia, osservare la differente partecipazione al finanziamento della tv pubblica degli altri Paesi europei distinguendo la parte fiscale (il canone) e quella commerciale (pubblicità).
In Gran Bretagna, la BBC, che propone 8 canali tv interattivi, 10 network radiofonici, più di 50 emittenti TV e radio locali, viene finanziata ogni anno esclusivamente attraverso il canone pari a 176 euro. Particolarmente severe risultano, poi, le sanzioni per chi viene scoperto moroso o evasore della tassa sulla Beeb (come viene soprannominata dai Britannici la BBC) che arrivano anche alla custodia cautelare.
In Germania, i tedeschi sborsano ogni anno una tassa, pari a 206,36 euro per due canali pubblici (ARD e ZDF) che possono, tuttavia, trasmettere anche spot pubblicitari ma soltanto in una specifica fascia oraria dei giorni lavorativi, e cioè tra le ore 17 e le 20.
In Francia la tassa ammonta a 116 euro, ma la riforma del sistema radiotelevisivo prevede dal 2009 lo stop agli spot - ammessi solo durante gli intervalli naturali dei programmi - e la tassazione dei guadagni pubblicitari delle emittenti private e delle entrate degli operatori di telecomunicazione.
Islanda (RUV), Svizzera (SSR SRG), Austria (ORF), Norvegia (NRK) e Danimarca (DR e TV2) si contendono la leadership dei Paesi europei in cui il canone tocca le quote più elevate, superando i 250 euro annui.
In Islanda il canone ammonta a 346,59 euro e la tv viene finanziata pure dalla pubblicità; in Svizzera 292 euro con spot; in Austria tra i 223,32 e 284,52 euro, oltre alla pubblicità che varia a seconda della regione, in Norvegia 270 euro senza spot; in Danimarca, infine, costa 215,40 senza spot. Sono, altresì, senza spot le tv di Stato della Svezia (SVT) e della Finlandia (YLE) la cui tassa è rispettivamente pari a 210 euro e 208,15 euro l'anno.
In Belgio il canone ammonta a 149,67 euro dove è permessa la pubblicità (la Tv federalista fiamminga, RTBF, VRT e BRF, preleva l'importo direttamente dalla dichiarazione dei redditi). In Irlanda alla pubblicità si affianca il canone di 160 euro.
In Romania (TVR) esiste una tassa sulla radiotelevisione da 12 euro a 150 euro, che varia in base al reddito, alla quale si aggiunge il finanziamento pubblicitario. A 132 euro sta pure la tv di Stato della Slovacchia che si finanzia anche con gli spot commerciali.
Ora ricordiamo anche che ci sono alcuni stati in cui la tivù pubblica non è così esosa ed il cui canone è inferiore ai 100 Euro, vuoi perché il reddito procapite medio è decisamente più basso, ma anche perché la produzione della tv di stato non è così ricca e variegata, come negli stati più grandi. Il 58% delle entrate della Tv pubblica Rtsh dell'Albania viene ricavato dalle tasse, il rimanente 42 per cento da pubblicità e abbonamento pari a 6,30 euro. In Bosnia il canone è pari a 36 euro (al quale si aggiunge la pubblicità). In Croazia la tassa (mediamente 100 euro) equivale all'1.5 % della retribuzione annuale, ma è prevista pure la pubblicità. A Cipro il canone si riscuote con la bolletta elettrica (in più c'è la pubblicità). Nella Repubblica Ceca alla pubblicità si aggiunge il canone di 56,90 euro.
La tv pubblica della Grecia (EPT) si finanzia, invece, attraverso la bolletta elettrica (il canone è pari a 51,60 euro ed è permessa la pubblicità). In Macedonia la tassa ammonta a 57 euro e si paga con la bolletta della luce (la tv trasmette anche la pubblicità). A Malta circa il 66 per cento dei ricavi proviene dal canone (pari a 34,40 euro), il 33% dalla pubblicità.
In Montenegro ogni mese il canone costa 3,5 euro, ma la tv si finanzia anche con la pubblicità così come in Polonia dove il canone costa 53 euro.
Infine le "isole felici": In Europa ci sono i paradisi fiscali televisivi. Alcune nazioni, infatti, non prevedono o hanno totalmente abolito la tassazione sulle tv. Ad esempio nei Paesi Bassi (Netherland 1, 2, 3), Portogallo, Ungheria e Spagna (dove, con alcuni tetti, è consentita la pubblicità). In quest'ultima nazione, a ben vedere, vige un sistema "misto" di finanziamento per la tv pubblica (TVE). Il 50 per cento poggia su sovvenzioni statali, il 40 per cento sugli introiti pubblicitari e il 10 per cento dalla vendita dei programmi tv. La pubblicità diminuirà entro il 2010 per passare a 9 minuti all'ora. Ciò che rende il panorama spagnolo molto differente rispetto agli altri Paesi Ue è la notevole libertà concessa alle comunità autonome (come quella della Catalogna e della Navarra) nel settore dell'audiovisivo: insomma un federalismo fiscale televisivo.
A parte le questioni di natura ambientale, che sono assolutamente di primaria importanza rispetto a tutto il resto, io ho sempre personalmente osteggiato l'uso dell'acqua imbottigliata, perché è semplicemente antieconomico per le mie tasche e per le tasche di tutti noi consumatori.
Infatti non ho mai consumato in maniera sistematica l'acqua in bottiglia, ma quasi sempre quella del rubinetto. Il problema è che l'acqua che esce dal rubinetto, almeno qui a Grezzana, ci dicono essere non inquinata e di essere costantemente analizzata e controllata, però rimane il fatto che è piena di calcare, sabbia e terra e l'azienda municipalizzata fa poco o nulla per ridurre questo aspetto, che andrebbe invece considerato, tanto quanto quello della composizione chimica. E pensare che una volta a Grezzana e frazioni si pompava dentro l'acquedotto comunale acqua proveniente da sorgive locali, invece da più di un decennio ci fanno bere l'acqua della pianura, pompandola su da Verona. Davvero una cosa che ha alcun senso logico.
Tornando però all'aspetto puramente consumistico, ci hanno sostanzialmente inculcato attraverso le più rodate strategie del marketing che l'acqua in bottiglia è meglio di quella del rubinetto, spaventandoci, seducendoci e inducendoci a pensare sbagliato.
Io sono sempre stato cliente Vodafone dal lontano 1998, cioè dall'inizio con la telefonia mobile, non ho mai cambiato una volta, nè il numero, nè l'operatore, nè mi sono dato troppo da fare per cambiare continuamente piano telefonico. Penso di avere cambiato piano un paio di volte in tredici anni e l'ultima volta penso di averlo fatto nel 2002.
Sto notando che nelle ultime settimane Vodafone sta arretrando parecchio con le proprie offerte commerciali e promozioni e per cui sto seriamente pensando di salutarli e provare l'ebbrezza di qualcos'altro (Tre).
Ecco alcune valide ragioni per cui sto pensando di cambiare, cioè alcuni servizi e promozioni che sono stati riprofilati verso il basso:
Opzione Mobile Internet una volta consentiva di scaricare fino a 500 MB alla settimana per le ricaricabili, adesso siamo arretrati a 250 MB
Una volta c'era Christmas Card gratis se facevi una ricarica cospicua su una SIM ricaricabile: quest'anno basta, bisogna pagare. E già da qualche anno la Christmas Card è un pacchetto decisamente limitato di messaggi, non 100 o 500 SMS gratuiti al giorno, cioè una quantità virtualmente illimitata.
Si sono mangiati i punti Vodafone One, senza convertirli in automatico Vodafone You, atto che mi pareva quantomeno dovuto: tra l'altro non riesco nemmeno più a riattivare Vodafone You dal sito internet
Dopo tre anni abbondanti di iPhone, Vodafone è ancora l'unico operatore che fa pagare separatamente il traffico tethering, anziché accorparlo al traffico internet del telefono
Una volta si potevano mandare anche gli MMS gratis dal sito 190.it, nell'ultimo mese sparito anche questo servizio gratuito, anzi vi è ancora traccia sul sito, ma conduce ad errori del sito stesso
Insomma la fedeltà al marchio ancora una volta è stata tradita - della serie se sei un nuovo cliente, ti stendiamo il tappeto, se sei un vecchio cliente, ce ne siamo dimenticati, anzi ti usiamo per le statistiche - tagliando addirittura i servizi a cui siamo sempre abituati. L'impressione è che vogliano commutare definitivamente i servizi per le ricaricabili in favore dei piani di abbonamento più o meno cospicui per traffico e servizi vari. Bella invenzione in un momento di crisi...
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